Il piano elettrico
di Enrico Cosimi
Storia, modelli, tecnica

 

La storia
Il primo pianoforte elettrico venne sviluppato da Harold Rhodes durante la Seconda Guerra Mondiale, utilizzando materiale aeronautico di scarto e realizzando uno strumento la cui estensione copriva due ottave e mezza e sfruttava una serie di sbarrette di alluminio messe in vibrazione da una tastiera di legno. Lo strumento era quello: dopo una serie di perfezionamenti e con la collaborazione di Leo Fender si arrivò alla versione attualmente conosciuta come Fendere Rhodes, il piano elettrico per eccellenza.

Il Fender Rhodes
Ogni tasto del Fendere Rhodes, se percosso, mette in vibrazione una sbarretta di acciaio posizionata con una certa precisione in asse ad un pick up; questo ne rileva il campo magnetico e la sua variazione (né più né meno come nella chitarra elettrica). Sopra ad ogni sbarretta vibrante c'è una staffa di metallo che contribuisce a definire il campo magnetico. Il meccanismo è stabile e permette di accordare con una certa facilità il pianoforte. L'intonazione delle note si ottiene facendo scorrere lungo l'astina vibrante una molla elastica, una specie di cavaliere che con la sua massa varia la superficie vibrante. Il segnale raccolto dai pick ups (ce n'è uno per ogni tasto) viene inviato in punto di somma e presentato all'uscita dello strumento, passando priam per un controllo di tono passivo, definito Bass Boost.
Vediamo pregi e difetti dello strumento. La polifonia dello strumento è (naturalmente) totale, ogni tasto ha infatti il proprio sistema di generazione sonora che viene limitata solo dalle dita dell'esecutore o dalle dimensioni della cantinella in legno utilizzabile per abbassare contemporaneamente più tasti; la timbrica è dinamicamente sensibile alle sollecitazione del pianista, le sbarrette metalliche, percosse con più forza dai martelletti, vibrano con maggiore intensità ed il timbro di partenza, molto simile a quello prodotto da una forma d'onda triangolare assume nuove armoniche ed un pizzico di distorsione, che, in determinati casi, può diventare anche molto cattiva; la tastiera, per quanto non sia il massimo della risposta ai ribattuti veloci, è comunque pesata e ricorda quella di un pianoforte verticale acustico. Il peso dello strumento è tale da sconsigliarne il trasporto se non per cause di forza maggiore; la relativa delicatezza dello strumento obbliga il musicista a controllare che i tasti, le lamelle e la meccanica non abbiano subito dei traumi durante gli eventuali spostamenti, e questo si può fare solo smontado lo strumento e controllando che tutto sia regolare; il volume di uscita è estremamente basso, il segnale è monoaurale e necessita di una salutare preamplificazione per poter poi essere tirato a livelli accettabili sul banco di mixaggio o nell'amplificatore disponibile.
Il Fender Rhodes degli anni d'oro è stato prodotto in due diversi tagli, 73 e 88 tasti, ed in
differenti
versioni, denominate Stage Piano e Suitcase Piano. Il primo è il tradizionale strumento, montato su quattro zampe avvitate al fondo, con pedale a comando meccanico per il sustain (tutte le aste erano prodotte dalla Rogers); il secondo modello, più raro, è un vero e proprio armadio composto dal pianoforte e da un grosso blocco di amplificazione che prende il posto delle zampe e che sostiene, in stereofonia, la tastiera.
Le differenze circuitali tra i due strumenti comprendono la presenza, nel modello Suitcase, di un tremolo stereofonico, regolabile in intensità e frequenza, e di una sezione di equalizzazione composta di bassi e acuti.
Il Wurlitzer EP 200
Se, paragonata a quella di uno strumento attuale, la gestione del Fender Rhodes vi sembra complessa, aspettate a vedere come funziona il Wurlitzer, altro storico pianoforte elettrico, disegnato agli inizi degli anni '60. L'estensione dello strumento è pari a cinque ottave, i tasti sono in legno ed il suono è prodotto facendo percuotere alla martelliera una serie di lamelle d'acciaio che portano sull'estrimità anteriore una piccola massa di stagno. La punta vibrante si muove di fronte al solito sistema di pick ups che ne rileva il movimento e lo traduce al sisteme di amplificazione incorporato. A differenza del Fender Rodhes, il Wurlitzer è dotato di due controlli di volume e di tremolo, non possiede regolazione dei toni e la meccanica del pedale è di tipo morbido, con un rimando a filo che assomiglia al freno di una motocicletta.
Abbiamo accennato ad una massa di stagno sulla punta delle lamelle; questo sistema, che nel funzionamento ricorda abbastanza quello di uno scacciapensieri, basa la propria omogeneità timbrica sulla forma della massa di stagno e la sua intonazione sulla quantità della medesima... immaginate l'accordatura del piano, realizzata con il saldatore in una mano e la lima
nell'altra. Il timbro del Wurlitzer è più ricco di armoniche e più rapido nel decadimento rispetto al Rhodes, e la presenza di una maggiore quantità di distorsione sul transiente d'attacco ne permette un impiego maggiormente ritmico, con tutte le conseguenze che possono derivare dalla disastrosa rottura delle lamelle.

Il Pianet Hohner
Di diffusione ancora più limitata, l'Hohner Pianet è uno strumento a quattro ottave che sfrutta, per il suo funzionamento, una serie di lamelle metalliche che vengono forzate e lasciate vibrare dal movimento del martelletto; il risultato è un suono morbido, vagamente percussivo, che, per la peculiarità della sua generazione sonora, non può essere messo in sustain con nessun sistema di pedali. Ancora una volta, di fronte ad ogni lamina, c'è un pick up che si preoccupa di raccogliere il suono e di indirizzarlo all'uscita per l'amplificatore.

Continua...